riflettere

Sono passati più di dieci anni dal lontano 1997 quando il protocollo di Kyoto sanciva a livello mondiale un impegno da parte dei paesi aderenti a ridurre le emissioni di gas climalteranti attraverso programmi che avrebbero incentivato una serie di azioni di contenimento della propria impronta ambientale.

Il dibattito sul problema del surriscaldamento globale e sulla necessità di contrastarlo in maniera efficace si è intensificato sempre più negli ultimi anni parallelamente a campagne di sensibilizzazione, leggi e incentivi economici rivolti a privati e amministrazioni affinché attuassero una serie di misure efficaci in questa direzione. Parliamo di implementazione delle fonti rinnovabili - principalmente fotovoltaico, solare termico, eolico, biomasse - riduzione degli sprechi, riciclo e tecnologie efficienti.

Ma il cambiamento non può reggersi solamente su incentivi e investimenti, prescrizioni di legge e relative sanzioni (tra l’altro spesso inesistenti o inapplicate) dovendo passare necessariamente anche attraverso la reale presa di coscienza da parte del singolo dell’importanza di agire in questa direzione.

Sempre più da ogni parte piovono consigli per dare il nostro piccolo quotidiano contributo al pianeta: usare solo lampadine efficienti, limitare viaggi in auto a favore dei mezzi pubblici e di salutari passeggiate, chiudere i rubinetti, risparmiare l’acqua calda, il gas in cucina, non installare l’aria condizionata, ecc..

Dunque in sintesi si può dire che tutti, o quasi, ad oggi abbiano capito che occorre fare attenzione ai consumi legati alle utenze domestiche (elettricità e calore) e ai mezzi che utilizziamo per spostarci.

Tuttavia in tutto ciò l’anomalia sta nel fatto che a ben vedere nella graduatoria dei settori maggiormente responsabili del surriscaldamento del pianeta, dopo l’edilizia, al primo posto con il 40% delle emissioni totali, e prima dei trasporti, che occupano il terzo con il 14%, c’è una voce che sembra essere ancor oggi un tabù: il mercato della carne.



Si calcola che l'impatto ambientale di un onnivoro sia equivalente a quello di 7 vegetariani e di 20 veganiQuesto settore dell’industria rappresenta nientemeno che la seconda voce in graduatoria incidendo con il 18% delle emissioni totali di CO2 (rapporto FAO “Livestock’s long shadow” 2007).

In realtà secondo un recente studio del World Watch Institute*, che conteggia variabili aggiuntive (attribuite invece dal rapporto FAO ad altri settori produttivi), che prende in considerazione l’intera filiera della produzione, e si basa su database aggiornati al 2009, la quota potrebbe arrivare addirittura al 40 - 50%!

Allevamenti, mattatoi, colture e quindi terreni dedicati esclusivamente a nutrire il bestiame sono responsabili del consumo di un enorme, spaventoso quantitativo di energia, e dei relativi gas serra associati (oltre alla CO2, il metano, con un potenziale inquinante 21 volte maggiore della CO2).

Jeremy Rifkin, economista di fama mondiale e presidente del Foundation on Economic Trends nel suo libro "Ecocidio" denunciava questo stato di cose ancora nel 2001. Nonostante l’eco mondiale che ebbe questo suo lavoro e gli studi pubblicati da autorevoli riviste e istituti di ricerca che avvalorano, con nuovi dati e statistiche sull’impatto degli allevamenti, le posizioni di Rifkin, ad oggi ancora vi è un’inspiegabile ostinazione a non voler denunciare, da parte delle autorità preposte, i danni provocati al nostro pianeta dal consumo – diciamolo pure: smodato! - di carne.

Possibile che dopo tanti summit e strategie di intervento ci si fermi di fronte alla necessità di rinunciare alla bistecca, o per lo meno di ridurne il consumo? Come a dire: dobbiamo fare il possibile per salvare il nostro ecosistema, l’unico che abbiamo, minacciato e saccheggiato da un mercato senza scrupoli e da politiche miopi che mirano solo al profitto, ma se per farlo dobbiamo anche rinunciare alla bistecca... allora no, lasciamo perdere, meglio autodistruggersi!



Campagna di HumaneSociety. Lo slogan recita "quale delle due contribuisce di più al riscaldamento globale?"Questo colpevole e assordante silenzio sul fronte dell’opportunità e dell’urgenza di mutare le nostre abitudini alimentari a favore di una scelta – sempre più - vegetariana ed ecosostenibile non si può dire che non faccia perdere autorevolezza a chi predica i principi dell’ambientalismo.

Un ambientalismo che applica per così dire uno ‘sconto’ immotivato e chiude gli occhi su un tema cruciale arrivando al paradosso di raccomandare i più minuziosi accorgimenti quotidiani come per esempio mettere la tv in stand by che porta ad un risparmio di appena 5-7 Kg di CO2 annui e di tacere invece sul consumo di carne di ognuno.

L’eliminazione della carne dal nostro piatto infatti risparmierebbe l’immissione in atmosfera di circa 2000 kg di CO2** (sempre valori procapite) in un anno, un valore uguale se non addirittura superiore a quello ottenibile rinunciando completamente all’uso dell’automobile!!***

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